Nuova svolta nelle relazioni diplomatiche fra Turchia ed Armenia


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Sabato scorso, 10 Ottobre, i rappresentanti di Turchia ed Armenia hanno firmato in Svizzera i protocolli d’intesa per una normalizzazione delle relazioni bilaterali. Tali accordi dispongono che venga riaperta la frontiera turco-armena, che vengano ristabilite relazioni diplomatiche fra i due  Stati e che l’annosa questione del genocidio armeno sia affidata ad una commissione di storici per la sua indagine oggettiva.

Tutto questo è ciò che dovrebbe accadere solo dopo la ratifica dei protocolli da parte dei rispettivi parlamenti. I due premier godono di larghe maggioranze in patria, quindi se la votazione dovesse rispettare gli schieramenti di partito, non dovrebbero esserci intoppi nella procedura. Tuttavia la questione turco-armena è percepita nel mondo politico come una problematica trasversale, che coinvolge il nazionalismo, la religione e l’identità dei due popoli chiamati a decidere. Non è escluso quindi che il dialogo si arresti alle prime battute.

I rapporti fra i due paesi erano tesi da lunghissimo tempo. Sin dalla sua indipendenza l’Armenia aveva esercitato pressioni sulla Turchia affinché essa riconoscesse il genocidio della popolazione armena durante gli anni del disfacimento dell’impero ottomano e se ne assumesse le responsabilità storiche. Ankara dal canto suo ha sempre negato lo sterminio ammettendo che se qualche centinaio di armeni erano morti, si era trattato di episodi isolati e non certo di un eccidio programmato e sistematico.

I rapporti turco-armeni precipitarono però nel 1993, quando la minoranza armena in Azerbaijan dichiarò unilateralmente la propria indipendenza. Baku protestò immediatamente non riconoscendo la sedicente repubblica del Nagorno Karabakh, ed iniziò ad esercitare pressioni militari su Erevan ed Ankara. Mentre il governo armeno non fece mancare il proprio appoggio agli insorti, il governo turco condannò aspramente questi atteggiamenti rispondendo con la chiusura della frontiera ed interrompendo le relazioni diplomatiche. Da allora il gelo.

La strada che ha portato i due primi ministri fino a Zurigo è iniziata la primavera scorsa, quando il premier turco Erdogan si recò ad Erevan per assistere alla partita di calcio fra le due nazionali. La visita storica inaugurò quella che fu chiamata la “diplomazia del calcio”. A seguito di quell’evento i due primi ministri (il 31 agosto scorso) avevano fatto pervenire ai mezzi di comunicazione una dichiarazione congiunta sul raggiungimento di un’intesa per una bozza di protocollo che avrebbe riavvicinato i propri Paesi.

Ma la negoziazione non è stata così semplice. Da parte armena si sono poste due condizioni: che la Turchia fosse disposta ad ammettere il genocidio armeno e che non le fosse fatta pressione riguardo al territorio del Karabakh. Da parte turca le condizioni erano praticamente opposte: che l’Armenia accettasse il confine attuale (quindi implicitamente che rinunciasse a qualsiasi rivendicazione territoriale in Turchia, data la presenza di una nutrita minoranza armena in questo Pese), che non supportasse ulteriormente l’occupazione del Karabakh riconoscendolo territorio azero e che rinunciasse al riconoscimento pubblico del genocidio. Il genocidio sarà indagato da una commissione scientifica, il confine turco-armeno sembra essere stato accettato, la questione del Nagorno Karabakh è ben lungi dal trovare una soluzione.

Ci sono voluti sedici anni, la mediazione svizzera e le pressioni statunitensi, francesi e russe per portare i due Stati a parlarsi nuovamente e c’è chi per questa ragione ha parlato di una “firma storica”. Potenzialmente è così, tuttavia ci sono dei punti oscuri riguardo all’effettiva portata di tali accordi nel prossimo futuro. Al di là del travagliato iter parlamentare che aspetta i protocolli, i due Stati dovranno fare i conti anche con i loro più diretti oppositori. L’Armenia dovrà affrontare la durissima opposizione delle comunità della diaspora, sparse un po’ ovunque e con una forte influenza su molti governi. La comunità della diaspora ha indetto manifestazioni in tutto il mondo alla vigilia della firma degli accordi, affermando che l’Armenia aveva fatto delle concessioni troppo grandi. Ciò che la diaspora non sembra tenere presente è che l’economia armena dalla chiusura della frontiera è stata sostenuta dalle rimesse degli emigrati e un po’ con il commercio con la Georgia, commercio che ha sofferto dell’ultimo conflitto. L’Armenia si è quindi trovata con l’acqua alla gola. Secondo una stima abbastanza realistica, il volume del commercio fra i due Paesi una volta riaperta la frontiera dovrebbe passare dagli attuali 253 milioni al miliardo di dollari all’anno: una buona ragione per fare delle concessioni iniziali.

Alla Turchia invece toccherà affrontare le difficili reazioni azere.  Nei protocolli firmati lo scorso sabato non è menzionata la questione del Nagorno Karabakh ma il premier ha reso chiaro con le su dichiarazioni che la frontiera turco-armena non sarà riaperta fino a che Erevan non rinuncerà ad appoggiare la secessione della regione azera di maggioranza armena. Il 30 settembre, riguardo all’evoluzione del dialogo con l’Armenia, Erdogan aveva dichiarato che gli interessi dell’Azerbaijan sarebbero stati di primaria importanza per la Turchia. La vicinanza con l’Azerbaijan non è per la Turchia solo una questione culturale (i popoli azero e turco hanno radici etnico-linguistiche comuni) ma anche la più pragmatica questione delle forniture di gas.

Non è quindi un caso se Stati Uniti e Russia, finanziatori dei progetti Nabucco e Blue Stream, abbiano fatto pressione sui due Stati per il loro riavvicinamento.

Pace fatta? Non è ancora detto. La palla passa adesso ai parlamenti nazionali ed a tutti gli altri attori indirettamente coinvolti nella vicenda. Di certo la firma di questo protocollo sposta la soluzione del problema dai salotti di storici ed intellettuali alle istituzioni politiche, segnando un importante salto di qualità nel difficile cammino verso la riconciliazione.

Una Risposta

  1. Per chi fosse interessato a sapere come è andata a finire, invito a leggere l’articolo “La Crisi dei Protocolli” di Osservatorio Balcani a questo link:
    http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/12413/1/51/

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