L’Urss e Israele


Copertina "perchè Stalin creò Israele"Calcoli strategici, legami ideologici, scambio di informazioni tra i servizi segreti e, soprattutto, un appoggio al sionismo con una precisa funzione antioccidentale: è fitta la trama di interessi che indussero il leader sovietico Iosif Stalin ad appoggiare la nascita dello Stato ebraico, come racconta il saggio “Perché Stalin creò Israele”, del giornalista e storico russo Leonid Mlecin (Sandro Teti Editore, 215 pagg., 17 Euro).

Grazie all’apertura degli archivi segreti del Ministero degli Esteri russo e alla pubblicazione di documenti declassificati dal 1941 al 1956, il libro ricostruisce quali vicende diplomatiche portarono all’attuale mappa del Medio Oriente. E spiega che fu per contrastare l’egemonia britannica nell’area e la politica estera degli Stati Uniti, interamente dettata dagli interessi petroliferi, che Stalin decise di appoggiare con l’emigrazione e con le armi lo Stato ebraico, negli anni in cui l’antisemitismo infuriava nell’Unione sovietica e gli ebrei venivano espulsi dall’apparato del Partito comunista. “Stalin – scrive Mlecin – non ravvisava contraddizioni di sorta in tutto questo. La costituzione di uno Stato ebraico in Palestina non era solo un mezzo per mettere in difficoltà gli inglesi e per ridurne l’influenza in Medio Oriente. L’Urss era uscita vittoriosa dalla guerra e ciò doveva comportare acquisizioni territoriali, ma anche una sua accresciuta potenza nel mondo”. Così Stalin tentò di creare una testa di ponte in Medio Oriente che potesse garantire basi strategiche all’Urss, in un’area di regimi arabi asserviti soprattutto alla Gran Bretagna.

“Oggi non ho più dubbi: lo scopo dei sovietici – scrisse Golda Meir – era estromettere l’Inghilterra dal Medio Oriente. Però, nell’autunno del 1947, durante il dibattito all’Onu, credetti che il blocco sovietico ci appoggiasse perché i russi stessi avevano pagato un prezzo spaventoso per la vittoria e, solidarizzando con gli ebrei che avevano tanto patito per mano nazista, comprendessero e riconoscessero il loro diritto ad avere uno Stato”. Nominata nel ’48 primo ambasciatore israeliano a Mosca, in seguito ministro degli Esteri e primo ministro, la Meir riconobbe il ruolo decisivo avuto dall’Unione sovietica nel fornire armi al giovane Stato ebraico sfidando l’embargo imposto da Usa e Gran Bretagna sulla vendita di armi ad Israele tra la fine del 1947 e l’inizio del 1948: “non sappiamo se avremmo potuto resistere senza le armi e le munizioni comprate in Cecolovacchia e trasportate attraverso la Jugoslavia e i Balcani, in quel terribile inizio della guerra. Nelle prime sei settimane potemmo contare sulle mitragliatrici e le munizioni che l’Haganah era riuscita a comprare nell’Europa dell’Est. Nonostante in seguito l’Urss ci abbia duramente avversato, il riconoscimento di Israele da parte sovietica fu allora importantissimo per noi”.

 In seguito alla morte di Stalin, nel 1953, e soprattutto con la divisione sempre più marcata del mondo in due blocchi politico-militari contrapposti, gli equilibri cambiarono. Ma negli anni immediatamente successivi alla Seconda Guerra mondiale l’Urss rimase pressoché indifferente al mondo arabo e alle proteste di fronte all’appoggio sovietico al piano dell’Onu sulla spartizione della Palestina. Guardando al Medio Oriente oggi, Mlecin non può che dare un giudizio severo sul rifiuto dei leader arabi di accettare la nascita di Israele e sul ruolo nefasto svolto dalla retorica araba in quegli anni. “Quante guerre e quante vittime si sarebbero risparmiate se i governi arabi fossero stati meno egoisti – scrive – se avessero accettato serenamente la nascita di Israele, che non rappresentava una minaccia, e avessero consentito agli arabi palestinesi di costituire il loro Stato. Per tutto il Ventesimo secolo gli arabi, di fatto contro il proprio interesse, hanno risposto ‘no’ a ogni proposta. […] E così ebbe inizio la tragedia del Medio Oriente”.

 

 

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